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Written by: Patrimonio

Aleppo si salva l’’anima. Islamica

Aleppo (Siria). Uno dei piaceri di una visita è bere un caffè al cardamomo nei bar di fronte alla Cittadella e da lì osservare il passaggio dei turisti verso il principale monumento della città (XVI secolo a.C.), che l’Aga Khan Trust for Culture ha appena finito di restaurare dopo circa un decennio di lavori, Un progetto molto ampio, evolutosi con un accordo da 20 milioni di dollari stipulato nel 2008 per la creazione di un parco pubblico a Bab al-Qinnesrin e la ristrutturazione e trasformazione in hotel di lusso del  Gran Seray, lo storico Palazzo Governativo situato di fronte alla Cittadella.
Dopo secoli di guerre, terremoti e trasformazioni, rimangono intatte solo le architetture dell’epoca Ayyubida (XII-XIII secolo) e Mamelucca (XIII-XV secolo): le mura, il ponte monumentale d’accesso e il labirintico ingresso. Dall’alto del «tell» di 50 m su cui sorge la Cittadella si può osservare la Città vecchia, con il suo dedalo di 300 km di vie lastricate in pietra. Su circa 400 ettari si alternano negozi (12 km di suq coperto), khan, moschee, madrasse e residenze secondo un sistema gerarchico che dagli spazi commerciali più pubblici si privatizza sempre più fino agli stretti vicoli circondati dai muri ciechi delle abitazioni private.
La Città vecchia si è conservata straordinariamente intatta nel corso dei secoli, pur soffrendo di un notevole abbandono. Dalla fine dell’Ottocento lo sviluppo urbano ha portato la popolazione più abbiente a trasferirsi in quartieri periferici di ville con giardino e palazzine, mentre la popolazione operaia e gli sfollati dalle campagne si sono visti offrire appartamenti in palazzoni periferici: un modello abitativo lontanissimo da quello tradizionale islamico che prevede un tessuto urbano fatto di architettura «introversa», d’integrazione del singolo edificio in una texture urbana, della predominanza della viabilità pedonale.
A partire dal secondo dopoguerra, i governi nazionalisti dei paesi mediorientali hanno sempre considerato i vicoli e il disordine dei quartieri storici come segni di arretratezza da eliminare. Per questo motivo l’esistenza stessa della Città vecchia è stata messa in pericolo da decenni di piani urbanistici all’europea, a partire dal masterplan del 1954 redatto da André Gutton, un urbanista francese che, senza alcuna visione d’insieme, realizzava la «città della macchina» aprendo larghe autostrade urbane nella Medina. «Liberare per valorizzare»: in netta contraddizione con la tradizione islamica, le architetture considerate di pregio venivano isolate demolendo il contorno.
La Città vecchia fu dichiarata Patrimonio dell’umanità Unesco nel 1984, ma le operazioni di sventramento erano già state in parte realizzate, definendo un largo viale che circonda la Cittadella, trasformandola in una sorta d’immensa rotonda e portando, oltre al danno delle demolizioni, l’aumento di traffico, rumore e inquinamento.
Dal 1992 una collaborazione tra il gruppo governativo no-profit tedesco Gtz (German Technical Cooperation) e la Municipalità sta compiendo una complessa opera di restauro e conservazione della Città vecchia, con lo scopo non solo di conservare i monumenti, ma anche il carattere residenziale tradizionale. In circa venti anni (e dieci milioni di dollari spesi) altre istituzioni si sono unite al progetto, tra cui l’ArabFund for Economic and Social Development(Afsed), l’Aga Khan Network  for Development (Akdn), l’Aga Khan Trust for Culture (Aktc). Come spiega l’architetto Adli Qudsi, «dal momento che la popolazione che vive qui è quella a reddito più basso, offrendo prestiti a interesse zero e assistenza tecnica gratuita si è potuto permettere a centinaia di proprietari di manutenere le proprie abitazioni». È stato messo in piedi un complesso sistema d’interventi fisici e socio-economici per incoraggiare tutte le funzioni urbane a continuare a coesistere, con reti dei servizi rinnovate, regolamenti edilizi e di uso del suolo ben definiti, traffico e inquinamento ridotti. Il progetto ha concluso ora la sua quarta e ultima fase, «Towards Sustainable Urban Management», e il metodo di analisi applicato ha ispirato «la prima conferenza araba internazionale sullo sviluppo urbano sostenibile nelle città siriane», che tenutasi a Damasco nel 2009, in cui è stato redatto un piano quinquennale da attuarsi a livello nazionale.
I problemi non mancano: molte case tipiche ottomane sono state trasformate in ristoranti o boutique hotel, snaturando il carattere residenziale dell’edificato; moschee ed edifici storici sono stati restaurati ricostruendo ex novo ciò che mancava, secondo lo stile più diffuso in questa regione del mondo. Segnali positivi per l’economia, queste evoluzioni andrebbero limitate per non perdere le caratteristiche che fanno di Aleppo un luogo unico al mondo.
Un altro elemento poco collaborativo è la cultura architettonica locale: il settore privato lavora per soddisfare il mercato e mostra scarso interesse per la cultura del progetto, privilegiando edilizia residenziale che mescola sfarzo ed esibizionismo, con il vocabolario linguistico della tradizione ridotto a ornamento di facciata. Sarà possibile diffondere a livello nazionale un discorso che necessita di basi culturali diffuse? Finora una zonizzazione estrema ha diviso gli abitanti della città, sia in base alla disponibilità economica che in base alla religione: i cristiani (e i più ricchi) amano il quartiere più «globalizzato» di Azizieh, e non andrebbero mai nella Città vecchia. Qui, nel suq frequentato dai più poveri e dalla gente delle campagne, si aggirano solo i turisti. Si auspica che le trasformazioni in corso, per quanto meritevoli nelle loro intenzioni, non trasformino questo luogo affascinante in un museo tirato a lucido, privo della patina di polvere della storia che si è accumulata in 5.000 anni.
Infine, occorre accennare alle architetture degli ultimi settanta anni, prodotti della particolare storia della Siria, legata ai paesi dell’ex blocco sovietico: edifici del realismo socialista che nessuno, né tra i conservatori della Gtz né tra i responsabili locali, considera degni di nota. La bellezza della coesistenza di diverse epoche storiche stratificate non dovrebbe completamente soccombere di fronte al discorso economico.

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Last modified: 26 Luglio 2017